Parte 1 di 5

:: Pride ieri, oggi. E domani? ::

È il 2019, un anno ricco di anniversari per il movimento LGBT+.

Era, infatti, il 28 giugno 1969, quando Sylvia Rivera, Marsha P. Johnson e Stormé DeLarverie, insieme ad altre persone che frequentavano lo Stonewall Inn, presero coraggio e osarono ribellarsi contro l’ennesimo episodio di violenza perpetrato nei loro confronti dalla polizia di New York. I Moti di Stonewall favorirono e fortificarono in tutto il mondo i movimenti di liberazione, costituiti da persone che rivendicavano con orgoglio la propria sessualità; il 28 giugno, in ricordo di quelle prime ribellioni, divenne la giornata internazionale del Pride.

Era, inoltre, il 2 luglio 1994 quando Andrea Berardicurti, meglio noto come La Karl Du Pigné, allora segretario politico del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, insieme ad attiviste, attivisti e a tante altre realtà, organizzarono a Roma il primo Gay Pride italiano.

Era, infine, il 2009, quando la Sardegna scese in piazza con le prime manifestazioni in occasione della giornata mondiale contro l’omofobia (17 maggio, data in cui, nel 1990, l’Assemblea generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha cancellato l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali).

Il 16 Maggio, a Cagliari, un gruppo di donne attiviste dell’area anarchica, femminista e di sinistra invitarono la Sardegna a manifestare contro l’omofobia di Stato per rivendicare una società laica, solidale e libera dal razzismo, dalla xenofobia, dal sessismo e dall’omofobia, indipendentemente dall’orientamento sessuale e identità di genere.
Il 30 Maggio, a Sassari, le e gli attivisti del MOS, in seguito all’occupazione del Consiglio Comunale del 28 Giugno 2007, per la quale furono processati e prosciolti, scesero in piazza con la manifestazione “Liberi tutti Libere tutte”. La partecipazione alle manifestazioni fu massiccia da tutta l’Isola e questo diede l’impulso a quella stagione di cortei ed eventi che presero la strada di “Diritti al Cuore” a Sassari e “Queeresima” a Cagliari fino al primo Pride sardo, che ebbe luogo a Cagliari nel giugno del 2012.

Oggi, il Sardegna Pride non crede di vivere in un mondo peggiore di cinquanta, venticinque o anche solo dieci anni fa, ma ritiene fermamente che la lotta per il diritto all’autodeterminazione delle persone, nel corpo e nelle scelte di vita, non sia affatto conclusa. L’attuale discussione politica tende ancora a mostrare le differenze sessuali, etniche e religiose come uno spauracchio, da cui è necessario difendersi alimentando un sentimento di repulsione verso tutto ciò che non è conforme all’idea di “normalità”, e contemporaneamente, imponendo una società basata su modelli sociali del passato. Ma alla politica della paura fomentata, ultimamente troppo di moda, preferiamo controbattere con l’oggettiva realtà dei fatti.

Ci chiediamo, innanzitutto, per quale motivo l’attuale discussione politica sia fortemente incentrata sulla legittima difesa, quando i dati dello stesso Viminale, che evidenziano un costante calo del numero di reati, non riportano informazioni relative all’aumento di reati legati a razzismo e omofobia, dimostrando al contrario che l’Italia è un paese già sicuro.

Ci chiediamo se sia etico considerare il fenomeno migratorio come una invasione, quando questo è in realtà causato da povertà, guerre e violenze, nonché da discriminazione e persecuzione delle persone LGBT+. Proprio sul trattamento dei migranti SOGI (Sexual Orientation Gender Identity) ritroviamo quell’omofobia che si vorrebbe combattere, poiché, contrariamente a quanto stabilito dalle convenzioni internazionali e persino dalla Cassazione italiana, la linea prevalente è quella del rimpatrio in assenza di pericolo diretto ed immediato verso la persona: si chiede cioè al migrante di ritornare a casa e dissimulare orientamento e identità.

Ci chiediamo, infine, dove sono finite le promesse di riforma delle adozioni e di lotta e prevenzione all’omo-bi-transfobia, considerato che dal Congresso della Famiglia di Verona, patrocinato dai Ministeri della Famiglia, dell’Interno e dell’Istruzione, si è discusso solamente di politiche che non tutelano né l’insindacabile diritto dei minori ad avere una famiglia, né i diritti delle minoranze ad una piena e libera autodeterminazione.

Sulla base di tutte queste domande, possiamo solo affermare che, con l’ottenimento delle sole unioni civili, la battaglia per i diritti delle persone discriminate a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere non può ritenersi realmente conclusa.

Parte 2 di 5

:: Non c’è futuro senza prevenzione ::

Il #SardegnaPride crede che ogni avanzamento legislativo e ogni rivendicazione sarà vana fino a quando non verrà presa una posizione politica chiara in termini di prevenzione. Attualmente l’educazione volta alla valorizzazione delle differenze di genere e orientamento sessuale, e l’educazione di informazione sessuale e prevenzione delle infezioni sessualmente trasmissibili, vengono sviluppate differentemente ed individualmente tra istituti scolastici e contesti familiari, spesso non dotati di mezzi ed informazioni adeguate.

“I singoli individui considerati diversi, vengono trattati in un modo che è peggiore del modo con cui le persone vengono solitamente trattate”. Con questa rozza definizione del Cambridge Dictionary, si evidenzia come le discriminazioni siano legate al contesto culturale e sociale. Essendo difficile agire sul contesto familiare, ci si affida agli istituti di istruzione ed alle strutture di supporto.

Nel comma 16 dell’Art. 1 della L.107/2015, nota come “Riforma della Buona scuola”, gli istituti scolastici sono stati chiamati a rielaborare il proprio Piano di Offerta Formativa sulla base dell’Art. 3 della costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione di opinione politica, di condizioni personali e sociali”. Di fatto, il “Piano per l’educazione ed il rispetto”, che promuove linee guida nazionali contro la discriminazione negli istituti scolastici, non ha trovato la propria attuazione. Si assiste ancora a situazioni di discriminazione per ignoranza delle linee guida.

Per quanto riguarda gli istituti di informazione e prevenzione sanitari, abbiamo potuto constatare tempi di attesa lunghissimi e una bassa qualità di accoglienza dovuti all’aumento delle segnalazione di Infezioni Sessualmente Trasmissibili (IST).

Sottolineiamo la necessità di discrezione e il rispetto dell’utente, con totale sospensione di giudizio, che il personale medico responsabile delle indagini deve garantire e che talvolta invece viene disatteso. Essendo necessari controlli periodici, dato che alcune infezioni generano sintomi evidenti mentre altre possono passare inosservate, un servizio più aperto e snello dal punto di vista burocratico e una relazione non giudicante con l’utente sarebbero un ottimo obiettivo per incoraggiare il ricorso alle indagini sanitarie sulle IST.

È compito dello Stato fornire adeguate competenze all’esercito della cultura, della formazione e della cura alla persona. Questo tipo di politiche non può essere lasciato infatti alla buona volontà del singolo dirigente scolastico o della singola struttura operativa. Occorrono inoltre dei servizi pubblici specialistici, che non possono essere demandati al solo volontariato.

È necessario lavorare sul fronte della prevenzione per ottenere cambiamenti strutturali, partendo dalle scuole e dai contesti familiari, che favoriscano un’educazione volta al rispetto e alla valorizzazione delle differenze di genere e di orientamento sessuale, nel rispetto di tutte le identità non classificabili e non catalogabili, adottando un linguaggio inclusivo e paritario, e instaurando una adeguata consapevolezza nei giovani e nelle giovani dei loro comportamenti e degli effetti che possono avere sulle altre persone, sia nella vita reale, sia nella vita virtuale.

Riteniamo sia altrettanto importante avviare al più presto la formazione delle e degli insegnanti, secondo il decreto precedentemente citato, che hanno un ruolo fondamentale nell’educazione dei ragazzi e delle ragazze, così come la formazione del personale medico-sanitario e dei consultori, che devono essere preparati al meglio per accogliere le persone LGBTQI+. Occorre inoltre che questi temi siano previsti all’interno della formazione continua per i professionisti del sociale.

Il Sardegna Pride è infatti convinto che ogni legge che istituisca un diritto civile necessiti di un contesto sociale preparato e sensibilizzato: questa appare l’unica strada affinché le novità legislative siano accolte e recepite, e dunque osservate, da ogni cittadina e cittadino dello Stato. L’obiettivo è dunque l’abbandono completo dell’ottica secondo cui un diritto in più per una minoranza possa pregiudicare i diritti già esistenti.

Per queste ragioni, il Sardegna Pride chiede una legge moderna, che prima di tutto contrasti e che in secondo luogo condanni adeguatamente l’omo-bi-transfobia.

Una normativa organica che contenga:

– linee guida Ministeriali che siano chiare e che prevedano degli interventi certi e programmati in tutte le scuole. Occorre superare la cosiddetta propaganda “no gender”, che favorisce discriminazioni e violenze, richiamando un’interpretazione del tutto arbitraria di “natura” per imporre un modello eteronormativo, rispondente a un sistema culturale integralista e fanatico

– un incremento e rafforzamento di servizi pubblici di assistenza e supporto alle persone che subiscono violenze e discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere. Il sostegno è fondamentale infatti per consentire alle persone di superare i traumi e le difficoltà generate dalla violenza, che determinano conseguenze profonde per il loro benessere fisico e mentale

– la semplificazione dell’accesso e la riduzione sul ticket degli esami sulle IST. L’aumento di nuove infezioni di IST rende necessario agire sul fattore preventivo, per il quale è importantissimo si debba favorire l’accesso dei pazienti alle strutture senza renderlo un carico economico gravoso sulla situazione finanziaria del singolo.

Parte 3 di 5

:: Bambine e bambini in lotta per avere una famiglia ::

La L. n.76 del 20 Maggio 2016 (nota come legge Cirinnà), pur avendo istituito le unioni civili tra persone dello stesso sesso, non ha introdotto, come era previsto nel testo iniziale della proposta di legge, la possibilità di adottare figli/e del partner (Stepchild Adoption), rimandando alle esistenti norme vigenti in materia di adozione.

Il fatto che la legge non disciplini espressamente l’adozione della figlia o del figlio da parte del partner, crea un vuoto normativo che deve essere colmato, nelle diverse situazioni, dall’iniziativa privata e da eventuali azioni giudiziali specifiche, costringendo le famiglie a battaglie legali onerose e dagli esiti incerti per tutelare i diritti delle bambine e dei bambini. Viene demandato quindi alla sensibilità e alla volontà dei singoli giudici il compito di riconoscere o no il diritto dei minori alla certezza e stabilità del rapporto con coloro che effettivamente esercitano la funzione genitoriale; così come ai vari Tribunali per i minorenni, viene lasciata la completa discrezionalità sulla valutazione dei singoli ricorsi.

Dal 2015, con la modifica dell’art.44 della legge sull’adozione e affidamento dei minori (L. n. 184/1983), è consentita “l’adozione in casi particolari” anche a chi non sia coniugato – alle persone conviventi, anche omosessuali, nonché alle persone unite civilmente e alle persone singole – a condizione che il Giudice verifichi che l’adozione risponda all’interesse del/della minore. A differenza dell’adozione piena, però, l’adozione in casi particolari è soggetta ad una disciplina diversa, con effetti giuridici più limitati, ed è revocabile nei casi previsti dalla legge. Pertanto, il diritto dei bambini e delle bambine non viene tutelato, poiché si tratta di un’adozione incompleta, non legittimante e che non pone i minori affidati nella stessa posizione di una figlia o un figlio riconosciuti.
Tuttavia oggi in Italia essa rappresenta l’unica “concessione”, contemplata dalla legge, alla genitorialità delle coppie omosessuali e delle persone singole.

Negli ultimi anni abbiamo assistito sia a diversi casi di adozione particolare riconosciuti dai tribunali, sia alle prime trascrizioni degli atti di nascita registrati all’estero. Pertanto, sono due le strade con cui le coppie omosessuali possono diventare genitori affidatari: la via giudiziaria e quella per trascrizione diretta dell’amministrazione comunale. Grande merito va dato a sindache e sindaci, che in diverse occasioni, hanno consentito la registrazione di nascite avvenute in Italia con genitorialità attribuita a persone dello stesso sesso, andando quindi in palese contrasto con il nostro ordinamento, che non consente tale ipotesi. In tutti questi casi, comunque, si tratta di atti impugnabili in qualsiasi momento dal prefetto, che perciò non tutelano dignità e diritti di questi bambini e di queste bambine.

La strada è ancora lunga e complessa, la si combatte a suon di costose battaglie legali. Intanto, per i casi in cui per qualunque motivo non si ottiene l’adozione, la legge vigente sulle unioni civili non prevede alcuna tutela specifica.
Per quanto riguarda la scelta dei percorsi procreativi, per le donne single o per le coppie lesbiche vi è la possibilità di ricorrere alla PMA (procreazione medicalmente assistita) con la fecondazione eterologa all’estero, poiché in Italia la L. 40/2004 la vieta a single e coppie dello stesso sesso.
Per gli uomini gay, l’unico modo è quello di avvalersi della GPA (Gestazione Per Altri ), nei Paesi dove questa è consentita; si tratta di un tema complesso, che coinvolge diversi soggetti e pone importanti questioni bioetiche e giuridiche. Troppo spesso, invece, si discute esclusivamente del rischio di mercificazione del corpo delle donne, strumentalizzando la GPA per contrastare la possibilità che coppie di uomini possano essere genitori, per altro ignorando o tralasciando volutamente il fatto che a farne ricorso, nella maggior parte dei casi, siano coppie eterosessuali. Per la sua complessità, anche nel nostro Paese, la GPA meriterebbe un dibattito serio e libero dal pregiudizio, che porti alla definizione di una normativa adeguata a tutela di tutti i soggetti coinvolti, sull’esempio di altri Paesi come il Canada e la California. Ѐ, infatti, dove mancano regole chiare che si presenta il rischio di trasformarla in un’attività di sfruttamento. Il principio fondamentale di autodeterminazione della donna, sia donatrice che gestante di sostegno, va salvaguardato e difeso, e le sue scelte non possono dipendere da condizioni di indigenza.

Per tutti questi motivi, il Sardegna Pride rivendica il diritto al pieno riconoscimento della genitorialità nei confronti di minori adottati e la possibilità di accedere sia alle adozioni che alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, in modo paritario per tutti i cittadini e le cittadine, a prescindere dall’orientamento e dal tipo di legame della coppia, con rispettivo riconoscimento di genitori naturali e affidatari. Si pone necessaria la valutazione di una riforma della L.40/2004 non solo per l’ampliamento della fecondazione eterologa alle donne single o alle coppie lesbiche, ma perché nella sua attuale formulazione limita la riuscita dell’intervento, ponendo a rischio la salute delle pazienti. Chiediamo che si apra un dibattito serio e costruttivo sulle scelte dei percorsi procreativi, in particolare sulla GPA, e che si pongano le basi per una norma chiara, nel rispetto del principio di autodeterminazione della donna. Contestiamo l’applicazione discriminatoria della legge sulle adozioni come unica “concessione” possibile data alle coppie omosessuali e alle persone singole: l’adozione deve essere una scelta, non un percorso obbligato.

Chiediamo il riconoscimento alla nascita dei figli e delle figlie e la trascrizione integrale dei certificati di nascita esteri con riconoscimento della doppia maternità o paternità. I minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere: non smetteremo di far sentire la nostra voce finché non sarà tutelato il diritto di tutti i bambini e le bambine ad avere una famiglia, a prescindere dall’orientamento e dal tipo di legame tra le persone che la compongono.

Parte 4 di 5

:: Matrimonio egualitario come strumento di lotta per l’uguaglianza ::

(Art. 2 Costituzione Italiana): “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Il concetto di famiglia assume diverse forme e significati nei secoli. Mentre in epoca romana e medievale si parlava di famiglia come nucleo sociale, avente un unico responsabile giuridico, indipendentemente da legami diretti o sentimentali, si arriva alla definizione di nucleo familiare nell’alto medioevo, definendolo composto da un padre “di patrimonio”, la sua consorte e gli eventuali figli. Questo nucleo non implicava legami affettivi, ma puramente funzionali e patrimoniali. Solo nell’800 i sentimenti e l’amore entrano nella logica familiare, incominciando a determinare scelte consapevoli e, soprattutto, segnando un processo che porterà all’affrancamento delle donne e alla loro autodeterminazione. La famiglia si evolve gradualmente, dunque, da un sistema di diritto-dovere economico a un sistema di diritto-dovere affettivo, dalla posizione di bene umano alla possibilità di scelta individuale, modificando così non solo la tipologia di famiglia, ma anche i ruoli dei membri al suo interno.

Nell’ultimo secolo abbiamo assistito a un assestamento del concetto di famiglia, a fronte di parziali risultati dell’ultimo ventennio sulla sua evoluzione, in relazione all’estensione dei diritti civili nei confronti di quelle che possiamo definire da sempre “categorie oppresse”.

Dopo anni di battaglie del movimento LGBT, dai disegni di legge sui “Diritti e doveri dei conviventi” (DICO) al “Patto civile di solidarietà” (PACS), si giunge al disegno di legge della Senatrice Monica Cirinnà, relativo alle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Tale disegno è stato normato dalla legge n.70 (Legge Cirinnà) nel 2016, ma snaturato di parti importanti quale l’adozione dei figli del consorte (stepchild adoption) e la cancellazione dell’obbligo di fedeltà, privazioni generate da una mediazione avvilente. L’approvazione del decreto a fine mandato del precedente governo, con la successiva ascesa dei movimenti reazionari di estrema destra, ha rafforzato la fomentazione di atteggiamenti di tipo discriminatorio, determinati dalla mancanza del tempo necessario per il recepimento sociale delle novità introdotte dalla legge Cirinnà.

Il Sardegna Pride riconosce che grazie a questa legge oggi esistano maggiori garanzie per le coppie omosessuali che decidono di unirsi civilmente, come l’assistenza del e della partner in caso di degenza ospedaliera, eredità, rapporti di parentela, reversibilità della pensione, ma va riconosciuto che ci ritroviamo immersi in un contesto sociale estremamente delicato e pericoloso. I linguaggi della politica e della socializzazione stanno subendo modifiche importanti perché legittimano ideologie e tesi che ostentano la supremazia di una categoria da sempre privilegiata: quella del maschio bianco, eterosessuale, cisgender e occidentale. L’ultimo congresso delle famiglie di Verona, patrocinato dalla Regione Veneto e dallo stesso Comune di Verona, ha voluto ribadire un concetto molto caro a questo Governo: la famiglia naturale è quella formata da un uomo e una donna, l’aborto è un crimine, i bambini e le bambine hanno bisogno di un papà e una mamma, le persone omosessuali possono guarire: si sta riportando il pensiero sociale indietro nel tempo, ritrattando sulle politiche di genere e sulle politiche per l’inclusione sociale delle persone LGBTQI+

Per tali motivi, il Sardegna Pride non può accontentarsi di una legge incompleta e discriminante, utilizzata per rinnegare la libertà di autodeterminazione ed espressione, sia all’interno di un rapporto di coppia, sia nella creazione di un nucleo familiare pensata unicamente per le coppie omosessuali, differenziando diritti e responsabilità, all’interno di una famiglia in base all’orientamento sessuale. Pensiamo che gli istituti familiari debbano essere diversificati, ma condividendo e lasciando alla coppia la possibilità e la libertà di scegliere che tipologia di rapporto instaurare: un matrimonio egualitario, estendendo così la normativa esistente per le coppie eterosessuali anche alle coppie omosessuali, è una normativa sull’unione civile che non valga esclusivamente per le coppie omosessuali ma, viceversa anche per le coppie eterosessuali.

Non crediamo in questo modo di sovvertire l’”ordine costituito”, ma di garantire la massima libertà ed espressione a tutte le persone in questo Paese, senza alcuna discriminazione legislativa basata sull’orientamento sessuale, proprio come previsto dalla nostra Costituzione.

Parte 5 di 5

:: Transgender, la frontiera della lotta per l’autodeterminazione ::

Nonostante il 17 Maggio 1990 sia stato compiuto un passo importante, cancellando l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali, saranno necessari altri 19 anni per ottenere un nuovo risultato quando, nel 2009, la Francia, per la prima volta al mondo, abolisce con un decreto la transessualità dall’elenco delle malattie psichiatriche, chiedendo all’OMS di fare altrettanto. Serviranno ulteriori 9 anni perché, nel 2018, l’OMS rimuova la transessualità dall’elenco delle malattie mentali.

Siamo nel 2019, un anno dopo: l’8 febbraio, l’Agenzia Italiana del Farmaco dichiara “temporaneamente non disponibili” i farmaci a base di testosterone, essenziali per le persone trans, il cui utilizzo “non è indicato per la disforia di genere, ma esclusivamente per l’ipogonadismo”. La motivazione sostenuta dal presidente dell’AIFA sarebbe “un consumo eccessivo per le farmacie”. Solitamente, il testosterone viene assunto circa ogni 28 giorni da chi avvia un percorso di transizione FtM (da femmina a maschio). Al Sardegna Pride piace dare i numeri: una popolazione stimata di circa quattrocentomila persone trans in Italia, con obbligo di assunzione minimo mensile di farmaco è, in proporzione, pari al numero di donne che attualmente assumono la pillola anticoncezionale. Il Ministero della Salute è dunque consapevole del disagio procurato a coloro che necessitano di questi farmaci.

Il processo di transizione è, sin dalle sue prime fasi, un percorso molto complesso. Non basta esclusivamente la consapevolezza della propria decisione, è necessario individuare un terapista psicologico qualificato che attesti le condizioni necessarie per poter avviare il processo.
La sofferenza nella quale le persone trans sono costrette è amplificata dallo Stato, perché sono pochissimi gli ambulatori di endocrinologia che sanno di cosa si parla, quando si tratta di disforia di genere. Questo fenomeno genera un nuovo problema: la non continuità della terapia, o l’alternanza di specialisti, può causare l’inefficacia di tutta la terapia stessa, provocando eventi quali il ritorno del ciclo anche dopo vari anni e la perdita dei tratti fisici acquisiti. Una volta avviato l’iter, è legislativamente necessario rivolgersi ad un tribunale per l’adeguamento dell’atto di nascita e dei documenti di identità: la documentazione richiede inoltre il coinvolgimento di un notaio, in quanto secondo il D.L. 160/2011 si ha il decadimento di tutti gli atti statali precedentemente stipulati, che devono essere adeguati con la nuova identità.

Parlare solo di disforia è impreciso: si tratta infatti di varianza di genere. Il termine transgender è un termine che racchiude tutte le categorie MtF o FtM, terzo genere, non-binary, transessuale, genere neutro… ci sono molti modi per definire il proprio sentire non conforme all’idea sociale del genere maschile e femminile. Nella tutela del diritto all’autodeterminazione delle persone, è necessario concedere ad ogni individuo la possibilità di riconoscersi, determinarsi e rappresentarsi, per poi essere riconosciuto e rispettato. Dividere l’esperienza della varianza di genere in maschile e femminile è fuorviante, e ridurre l’esperienza trans al percepirsi femmina in un corpo maschile o viceversa è semplicistico, in quanto la varianza di genere va oltre il binarismo basato sugli opposti. La complessità dell’esperienza trans viene ancor più ostracizzata quando uno specialista rifiuta la somministrazione di una terapia per un’inversione di genere o attraverso la chirurgia. Immaginiamo noi stessi nella condizione di non riconoscerci nel nostro genere, affrontare la società con questo timore insito e venire discriminati in modo sessista e misogino, non considerati persone, sorbirci domande inopportune e imbarazzanti come se venissimo da un altro mondo: questa è la difficoltà quotidiana per una persona trans. La nostra società opprime tutto ciò che non può categorizzare come “normale”, vorrebbe ridurre le persone a esseri uguali tra loro, mutilandone le differenze piuttosto che esaltarne le bellezze. In Italia, le identità in transizione non vengono accolte, così come quelle in transito via mare: i loro bisogni, le loro storie, i loro desideri non trovano spazio per essere comunicati, farsi realtà, essere vissuti.

Il Sardegna Pride rivendica il diritto alla salute per tutte le persone che non sono tutelate, che necessitano di farmaci per attuare il loro trattamento ormonale sostitutivo, che sono costrette ad acquistare via internet dei surrogati illegali, insufficienti e potenzialmente pericolosi. A complicare ulteriormente le cose, vi è la necessità di affrontare iter di percorso interminabili: un periodo minimo di un anno per l’accertamento psico-sessuale, per poi poter procedere con l’avvio del trattamento ormonale, dopo il quale è richiesto un ulteriore tempo di attesa prima di poter avviare qualsiasi forma di intervento chirurgico. Essendo la disforia di genere diagnosticabile a partire dall’adolescenza, ed essendo la tutela del minore affidata alla famiglia, è necessario che ogni specialista sia in grado di identificare e rimandare a una persona di competenza tale diagnosi, semplificando l’iter giuridico per il minore e l’avvio del supporto adeguato per evitare il degeneramento in depressione patologica.

Rivendichiamo, oltre l’adeguamento delle normative AIFA riguardo la disforia e la semplificazione dell’iter, l’adeguamento informativo al pari degli altri stati, utilizzando un linguaggio consono, un’informativa per strutture e specialisti, e predisponendo almeno uno specialista per Servizio Sanitario Locale. È comune l’inversione del pronome nel rivolgersi a una persona in transizione o l’inadeguatezza delle strutture, quali problematiche nell’utilizzo dei servizi per non riconoscimento del documento, o la necessità di viaggiare chilometri prima di trovare un endocrinologo in grado di strutturare un’adeguata terapia. Parafrasando Preciado, ci auguriamo che in futuro perdiate il coraggio, che non abbiate più la forza di perpetuare lo status quo e ripetere la norma. Perciò, vi auguriamo di essere deboli, “perché è attraverso la fragilità che opera la rivoluzione”.

 

Sardegna Pride 2019

SIAMO OVUNQUE
OVUNQUE, SIAMO

Cagliari, sabato 6 luglio ore 17, piazza Michelangelo